Densitometria ossea REMS senza radiazioni

DENSITOMETRIA OSSEA (MOC) SENZA RADIAZIONI (REMS)

DENSITOMETRIA OSSEA (MOC) SENZA RADIAZIONI (REMS)

La Densitometria Ossea REMS è un innovativo strumento per la diagnosi dell’osteoporosi. Una metodica rapida, precisa, affidabile e soprattutto che non prevede l’impiego di radiazioni.

L’osteoporosi è una malattia scheletrica sistemica caratterizzata da riduzione della massa ossea e degenerazione della struttura dell’osso e conseguente aumentato rischio di frattura.

La presenza di osteoporosi viene determinata attraverso la valutazione della Densità Minerale Ossea (Bone Mineral Density, BMD), attraverso un esame chiamato Densitometria Ossea o Mineralometria Ossea Computerizzata o MOC.

Fino ad oggi la MOC è stata valutata prevalentemente attraverso una che prevede l’uso di radiazioni ionizzanti (Densitometria DEXA). Attualmente, però, trova un impiego clinico sempre più ampio un’innovativa metodica che non solamente da risultati migliori ma è anche più sicura in quanto non prevede l’impiego di radiazioni (Densitometria REMS).

La DEXA è una metodica che prevede, seppure a basse dosi, l’impiego dei raggi X e permette di classificare un paziente, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in base ai valori di T-score della BMD, come: sano (BMD normale, T-score ≥ − 1), affetto da osteopenia (− 2,5 < T-score < − 1) o da osteoporosi (punteggio T ≤ − 2,5).

Tuttavia, proprio perché prevede l’uso di radiazioni, la DEXA non può essere considerata un test di screening eseguibile su tutta la popolazione e solitamente non può essere ripetuta prima di 18-24 mesi.

Per tutti questi motivi e alla ricerca di un più valido strumento di screening, è attualmente disponibile nella pratica clinica un innovativo strumento diagnostico: la Densitometria Ossea Ecografica REMS (Radiofrequency Echographic Multi Spectrometry) che consente una valutazione della densità ossea veloce, non invasiva, accurata, sicura e soprattutto senza raggi X, accurata.

Si tratta di un approccio rivoluzionario per la caratterizzazione della micro-architettura ossea, che sfrutta i segnali in radiofrequenza (RF) acquisiti durante una semplice ecografia. Oltre a garantire un elevato livello di accuratezza, non richiede protezione radiologica ed è di facile fruibilità. Inoltre, l’assenza di radiazioni consente di utilizzare questa metodica su un eterogeneo panorama di pazienti, da quelli pediatrici a quelli a rischio di osteoporosi secondaria, i diabetici, chi ha subito trattamenti oncologici fino alle donne in gravidanza.

La metodica è stata ampiamente validata da numerosi studi scientifici nazionali ed internazionali.

Per tutti questi motivi la metodica REMS è stata anche inserita ufficialmente nelle Linee Guida Ministeriali Inter-Societarie per la corretta identificazione e gestione delle fratture da fragilità presentate in occasione di un evento della Fondazione Italiana Ricerca Malattie dell’Osso (FIRMO) nella Giornata Mondiale dell’Osteoporosi, in un tavolo coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) (video).

Per informazioni più dettagliate sulla metodica leggere il seguente articolo.

Grazie al suo approccio privo di radiazioni, REMS può essere tranquillamente impiegata anche per screening di massa sulla popolazione, programmi di prevenzione anche in popolazioni “radiologicamente fragili” come donne in gravidanza e bambini, diagnosi precoci e follow-up a breve termine.

Prenota una MOC/Densitometria Ossea REMS senza radiazioni.

Dott. Massimiliano Andrioli

Specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio

Centro EndocrinologiaOggi, Roma
viale Somalia 33A, Roma
tel/fax 0686391386
cell 3337831426

PROTESI DI GINOCCHIO: TOTALE O MONOCOMPARTIMENTALE?

Protesi di Ginocchio: Totale o Monocompartimentale?

 

Introduzione

La chirurgia protesica del ginocchio è una procedura oramai diffusa in tutto il mondo. Solo in Italia ogni anno vengono eseguite decine di migliaia di protesi di ginocchio sia totali che monocompartimentali, e questi numeri sono destinati a crescere ulteriormente con l’aumentare dell’età media della popolazione. La chirurgia protesica o sostitutiva del ginocchio si rende necessaria quando una condizione patologica ha determinato la totale o parziale distruzione dell’articolazione, con conseguente dolore, limitazione funzionale, zoppia e assoluta necessità da parte del paziente ad utilizzare almeno un bastone o altri ausili.

La condizione patologica che più comunemente rende necessario l’impianto di una protesi di ginocchio è sicuramente l’artrosi, cioè la degenerazione progressiva cronica, fino al totale consumo, della cartilagine articolare. L’artrosi è una malattia molto diffusa, ovviamente più frequente nell’età anziana, ma in seguito a particolari circostanze quali traumi, lesione legamentose o lesioni cartilaginee non trattate può presentarsi anche in pazienti più giovani. Altre condizioni che possono rendere necessario l’impianto di una protesi di ginocchio sono la necrosi avascolare dell’osso detta anche osteonecrosi (soprattutto dei condili femorali), fratture articolari, lesioni inveterate dei legamenti (soprattutto del crociato anteriore), infezioni, disturbi metabolici, malattie reumatiche croniche.

Il ginocchio viene modernamente suddiviso in tre compartimenti: femoro-tibiale interno, femoro-tibiale esterno e femoro-rotuleo. Quando il processo patologico, ad esempio l’artrosi, colpisce contemporaneamente tutti e tre questi distretti allora si rende necessario sostituire tutti e tre i compartimenti del ginocchio grazie all’impianto dunque di una protesi totale detta anche protesi tricompartimentale. Ovviamente la protesi totale finisce col sostituire anche uno (l’anteriore) o entrambi i legamenti crociati, anch’essi gioco forza danneggiati dal processo patologico. Molto spesso invece il processo patologico, l’artrosi o ad esempio l’osteonecrosi, colpisce uno solo dei compartimenti del ginocchio, lasciando intatti i restanti due compartimenti e i legamenti crociati. In questi casi, che sono molto più frequenti di quanto si pensi, basta sostituire soltanto il compartimento danneggiato grazie all’impianto di una protesi monocompartimentale appunto, un intervento notevolmente meno invasivo di una protesi totale, molto più rapido e con una ripresa postoperatoria rapidissima grazie anche al mantenimento della cinematica naturale del ginocchio in cui gran parte dell’osso sano e tutti i legamenti sono lasciati intatti e non sostituiti dall’impianto protesico.

Protesi totale di ginocchio

La protesi totale di ginocchio (insieme alla protesi d’anca) rappresenta uno degli interventi più frequentemente eseguiti in chirurgia ortopedica. Grazie all’utilizzo di materiali sempre più resistenti e a disegni protesici sempre più anatomici, le protesi totali di ginocchio hanno raggiunto tassi di sopravvivenza ad almeno 20 anni in più del 90% delle casistiche. Questi dati sono certamente destinati a migliorare ulteriormente visto come detto l’introduzione ogni anno di protesi sempre più moderne e impiantate con strumentari sempre più avanzati (anche grazie all’utilizzo in sala operatoria di computer e robot che possono guidare l’intervento chirurgico rendendolo ancora più preciso).

Allo stesso modo, con l’ausilio di pratiche anestesiologiche sempre più avanzate eseguite sia prima che durante che dopo l’intervento, dirette primariamente al controllo del dolore postoperatorio, il paziente operato di protesi totale di ginocchio viene messo in piedi il giorno stesso dell’intervento con notevole riduzione del dolore, e dimesso già in seconda giornata postoperatoria (tecnica del “fast track”). L’intervento di protesi totale di ginocchio viene eseguito in anestesia loco-regionale (o anche generale se il paziente lo preferisce), dura meno di un’ora e grazie anche all’utilizzo di moderni dispositivi antiemorragici utilizzati durante l’intervento, non richiede più (se non in casi davvero eccezionali) trasfusioni di sangue nel postoperatorio. Per tutti questi motivi, la rieducazione postoperatoria è molto rapida e dopo 15-20 giorni il paziente può abbandonare le stampelle e riprendere una vita quotidiana normale e autonoma.

Come detto, l’intervento di protesi totale di ginocchio si rende necessario quando la condizione patologica, spesso l’artrosi, causa il consumo della cartilagine di tutti i compartimenti del ginocchio. Nella Figura 1 si nota chiaramente come l’artrosi ed il consumo quasi totale della cartilagine coinvolgono sia i compartimenti femoro-tibiali interno e esterno (Figura 1a) che il compartimento femoro-rotuleo (Figura 1b), con le ossa femore e tibia che praticamente vengono in contatto causando attrito con conseguente grave dolore e limitazione funzionale per il paziente. In questi casi quindi è necessario sostituire tutti e tre i compartimenti con l’utilizzo di una protesi totale di ginocchio (Figura 2a e Figura 2b).

Protesi monocompartimentale di ginocchio

Quando il processo patologico coinvolge solo uno dei tre compartimenti, è possibile impiantare una protesi monocompartimentale, preservando come detto tutto il resto del ginocchio (osso e legamenti), ed effettuando un intervento quindi che è ancora più rapido e “leggero” per il paziente e per il chirurgo. Anche le protesi monocompartimentali moderne ormai hanno raggiunto tassi di sopravvivenza a 20 anni in più del 90% delle casistiche tale per cui non sono e non devono assolutamente essere viste come “protesi di passaggio” in attesa della protesi totale. Nel paziente adatto e con le giuste indicazioni la protesi monocompartimentale può rappresentare la soluzione definitiva, soprattutto per il paziente giovane dove impiantare una protesi totale potrebbe essere un’esagerazione terapeutica, ma anche per il paziente molto anziano magari con problematiche internistiche importanti (cardiopatie, diabete, insufficienza renale, ecc.) in cui la protesi monocompartimentale rappresenta un intervento molto meno invasivo e con un tasso di morbidità ancora più basso rispetto alla protesi totale. Senza dimenticare il fatto che, anche dopo 20 anni per esempio, è molto più facile revisionare una protesi monocompartimentale rispetto ad una protesi totale: una protesi monocompartimentale, quando necessario, può essere tranquillamente sostituita da una protesi totale.

La protesi monocompartimentale come detto è un intervento più rapido e meno invasivo rispetto alla protesi totale. Dura circa mezz’ora, non richiede mai trasfusioni di sangue nel postoperatorio e può anch’esso eseguito in anestesia loco-regionale. Consente al paziente di essere messo in piedi e camminare il giorno stesso dell’intervento e di essere dimesso il giorno dopo, già in prima giornata postoperatoria. L’incisione chirurgica è ancora più piccola rispetto a quella necessaria nella protesi totale, con un dolore postoperatorio che è notevolmente inferiore.

Come detto, affinché si possa impiantare una protesi monocompartimentale è necessario che il processo patologico colpisca un solo compartimento del ginocchio, con integrità dei rimanenti compartimenti e dei legamenti crociati che come tale vengono “salvati” durante l’intervento. Le condizioni patologiche che più comunemente rendono necessario l’impianto di una protesi monocompartimentale sono l’artrosi e l’osteonecrosi del condilo femorale, soprattutto del compartimento femoro-tibiale interno. Nella Figura 3 si nota chiaramente come l’artrosi ed il consumo della cartilagine coinvolgono solo il compartimento femoro-tibiale interno con le ossa “che si toccano” solo in quel distretto. Nella Figura 4 invece si apprezza come l’osteonecrosi del condilo femorale interno abbia causato una grave compromissione del compartimento femoro-tibiale interno, con distruzione del profilo articolare. Ebbene, in entrambi questi casi una protesi totale risulterebbe eccessiva, mentre la protesi monocompartimentale consente di risolvere il problema andando a sostituire soltanto il compartimento danneggiato con un intervento mini-invasivo, lasciando integri come detto i restanti compartimenti e anche tutti i legamenti del ginocchio (Figura 5). Ovviamente, oltre ai compartimenti femoro-tibiali, è possibile anche sostituire soltanto il compartimento femoro-rotuleo qualora il processo patologico coinvolga solo la rotula con una protesi monocompartimentale femoro-rotulea (Figura 6).

Conclusioni

Gli interventi di protesi di ginocchio (totale e monocompartimentale) vengono eseguiti quotidianamente nelle cliniche ortopediche con tecniche sempre meno-invasive, materiali sempre più resistenti e duraturi e strumentari sempre più avanzati e precisi. Ad oggi, il paziente operato di protesi di ginocchio cammina il giorno stesso dell’intervento, con notevole controllo e riduzione del dolore postoperatorio, e viene dimesso in prima o seconda giornata postoperatoria (fast track). Un’attenta e accurata valutazione clinica e radiografica del paziente consente al chirurgo ortopedico di scegliere la migliore protesi per ogni singolo paziente, totale o monocompartimentale, uomo o donna, anche in base alle sue esigenze funzionali e alle sue attività quotidiane, lavorative e sportive.

 

Prenota on line una visita ortopedica sull’argomento.

Dott. Michele Vasso

Specialista in Ortopedia

GMF Medical Center, Viale Somalia 33A, 00199 Roma

Per ulteriori info o prenotazioni: 0686391386 o 3337831426

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VALUTAZIONE DEL RISCHIO DEL NODULO TIROIDEO INDETERMINATO (TIR 3)

Alla luce delle più recenti scoperte scientifiche è possibile valutare in modo adeguato il rischio di malignità di un nodulo tiroideo indeterminato (TIR3).
Presso il GMF Medical Center di Roma, grazie alla partnership con EndocrinologiaOggi, è oggi possibile usufruire di alcuni pacchetti modulari che permettono la valutazione del rischio del nodulo tiroideo indeterminato, con le metodiche più avanzate attualmente disponibili a livello mondiale.

INTRODUZIONE

E’ oramai riconosciuto che l’agoaspirato tiroideo sia la metodica che consente, nella maggior parte dei casi, una diagnosi certa circa la natura (benigna o maligna) del nodulo tiroideo. Tuttavia, nel circa 20% dei casi, l’agoaspirato non permette questa distinzione. E’ il caso dei noduli con citologia indeterminata (TIR3A o TIR3B secondo la classificazione SIAPEC 2014) in cui le cellule presenti nel nodulo benigno sono indistinguibili da quelle riscontrabili in quello maligno. In questi noduli “indeterminati” solo l’asportazione del nodulo e del tessuto circostante (quindi mediante un vero e proprio intervento chirurgico) permette la diagnosi definitiva sulla natura del nodulo tiroideo (esame istologico). Prenota un agoaspirato tiroideo con un endocrinologo a Roma.
Pertanto, per questi noduli, le linee guida attuali indicano uno stretto follow-up (nei TIR3A) o l’asportazione chirurgica della tiroide (TIR3B) come unico modo per accertarsi della presenza o meno, di un tumore.
Sfortunatamente, le statistiche post-operatorie e la letteratura scientifica, evidenziano chiaramente che, ad intervento eseguito, solo il 20% dei noduli indeterminati operati risulterà maligno e ben l’80% di questi risulterà essere benigno. In sostanza, attualmente, l’80% dei pazienti con questi noduli si sottopone ad un intervento chirurgico di tiroidectomia “inutilmente”, perché il nodulo, alla fine, si scoprirà essere benigno.
In molti casi, pertanto, per ottenere una diagnosi si deve ricorre ad un over-treatment.

OBIETTIVO E METODICHE

La sfida più difficile per l’endocrinologo, pertanto, è cercare di ridurre al massimo il numero di interventi chirurgici inutili.
Infatti, negli anni, la ricerca scientifica ha avuto come obiettivo quello di ridurre il numero di interventi chirurgici per noduli benigni. E per questo, sono state sviluppate diverse metodiche diagnostiche (per dettagli e approfondimenti su ciascuna di queste si rimanda ai gli specifici articoli). Si tratta di: nuove classificazioni citologiche (SIAPEC 2014), nuove tecniche bioptiche (Core Needle Biopsy), nuove metodiche ecografiche (elastosonografia), markers immunoistochimici (galectina-3, HBME-1, citocheratina 19) o di genetica molecolare (BRAF, ThyroSeq, Afirma). Tutte queste metodiche hanno dei limiti (di natura diversa), ma tutte hanno una potenziale utilità nella diagnostica del nodulo TIR3; alcune maggiori, altre minori.
Molte di queste metodiche, quelle ritenute più valide, sono attualmente eseguibili presso il centro GMF Medical Center – EndocrinologiaOggi di Roma.
Partendo da questi avanzamenti scientifici e dall’esperienza clinica quotidiana, presso il centro sono stato sviluppati dei pacchetti modulari di prestazioni che permettono la stratificazione del rischio dei noduli tiroidei indeterminati (TIR3). A seconda delle metodiche impiegate, che hanno costi e caratteristiche diverse, è possibile ottenere una valutazione del rischio di malignità di basale, fino alla più completa ed avanzata stratificazione attualmente disponibile su questo tipo di noduli (TIR3), addirittura a livello mondiale.

CONSIDERAZIONI

Prima di entrare nel dettaglio della stratificazione del rischio, sono necessarie alcune considerazioni.

  • La certezza assoluta pre-operatoria (intendo il 100%) di benignità di un nodulo tiroideo non può darla nessuno, nemmeno le più avanzate tecniche scientifiche. Bisogna diffidare da chi garantisce certezze in merito. In medicina il 100% non esiste. Non esiste per i noduli TIR2 (benigni), che sono benigni al 98%, figuriamoci per i noduli TIR3 (indeterminati).
  • Pertanto, se il 100% non è raggiungibile, l’obiettivo è cercare di arrivarci il più vicino possibile, attraverso la stratificazione del rischio di malignità un nodulo. Ciascuna delle varie metodiche attualmente disponibili è in grado di stimare il rischio di malignità di un nodulo con percentuali diverse. L’impiego combinato di più metodiche è in grado di far raggiungere percentuali prossime al 100%.
  • Al di là dei numeri e delle percentuali, va tenuto in considerazione anche il lato emotivo del paziente. Esistono alcuni pazienti che, pur volendo evitare con forza l’intervento chirurgico, sono emotivamente incapaci di tollerare anche la minima incertezza sulla possibile natura maligna di un nodulo TIR3 (ripeto il 100% di benignità non esiste). In questi casi è preferibile invece procedere con l’intervento chirurgico.
  • La scelta definitiva sul da farsi è sempre il frutto di un’attenta valutazione di molteplici aspetti clinici, strumentali, laboratoristici e genetici che deve avvenire in aperta condivisione con il paziente. La scelta finale, talvolta suggerita, è sempre concordata con il paziente a cui spetta la scelta definitiva.
  • Una considerazione che spesso ripeto ai miei pazienti è che l’equazione nodulo TIR3 = intervento chirurgico non è sempre vera. Infatti, oltre alla distinzione tra TIR3A e TIR3B) bisogna distinguere anche tra TIR3 e TIR3, in quanto i noduli indeterminati non sono tutti uguali. Questa distinzione può essere effettuata mediante la stratificazione del rischio.
  • Una volta accettata l’impossibilità del 100% di benignità, bisogna procedere nella scelta delle metodiche migliori da impiegare nella stratificazione del rischio del nodulo tiroideo indeterminato. Seguono quelle più importanti, utilizzabili nel centro EndocrinologiaOggi di Roma.

STRATIFICAZIONE ECOGRAFICA

L’esame ecografico ha un ruolo fondamentale nella diagnostica del nodulo tiroideo indeterminato (TIR3). Innanzitutto, è importante che venga eseguito da un ecografista dedicato alla patologia tiroidea, meglio ancora se endocrinologo (leggi perché).
L’importanza dell’ecografia risiede nel fatto che un nodulo indeterminato, se ecograficamente “sospetto”, merita un’attenzione maggiore rispetto ad un nodulo TIR3 che non presenta caratteristiche ecografiche di franca malignità (leggere caso clinico 2). A volte il criterio di sospetto può avere un peso davvero importante nella scelta finale.
A livello mondiale esistono diversi sistemi classificativi di stratificazione del rischio (TIRADS, EU-TIRADS, AACE/AME 2016) con diverse performance diagnostiche. Nell’attesa che queste varie classificazioni vengano finalmente unificate, è fondamentale che ne venga usata almeno una.
La classificazione AACE/AME 2016 è quella attualmente impiegata presso il centro GMF Medical Center – EndocrinologiaOggi di Roma, in cui è possibile eseguire una rivalutazione ecografica con uno specialista endocrinologo ed ottenere una stratificazione del rischio ecografico del nodulo indeterminato. Prenota un’ ecografia tiroidea con un endocrinologo a Roma.

CITOLOGIA DEDICATA

Anche in questo caso l’esame citologico deve essere eseguito da un anatomo-patologo esperto e dedicato alla patologia tiroidea e che usi la classificazione SIAPEC 2014. Questa distingue tra TIR 3A (lesione follicolare a basso rischio di malignità (circa il 5-15%) e TIR 3B (proliferazione follicolare o sospetta neoplasia follicolare a elevato rischio di malignità (circa 20-30%).
Con la premessa che è fondamentale usare questo tipo di classificazione, è importante rivalutare e pesare bene le parole che, in un referto citologico, accompagnano la sigla TIR3 (A o B). Infatti, in alcuni casi la descrizione citologica TIR3 può riportare di segni che possono indirizzare verso un maggior rischio di malignità (come la presenza di incisure nucleari o di grooves) che pongono quel nodulo indeterminato a maggior rischio di malignità rispetto ad altri privi di queste caratteristiche.
Presso il centro EndocrinologiaOggi di Roma è presente un servizio di citologia dedicata, strettamente integrato con il servizio di ecografia tiroidea. Ciò garantisce un referto citologico descrittivo e di elevata qualità diagnostica. Prenota un agoaspirato tiroideo con un endocrinologo a Roma.
E’ possibile eseguire sia un nuovo agoaspirato che rivalutare i vetrini di precedenti agoaspirati tiroidei eseguiti in passato.

IMMUNOISTOCHIMICA

Sulle cellule prelevate mediante agoaspirato è possibile valutare anche alcuni markers di immunoistochimica che in letteratura sono riportati associarsi a neoplasie della tiroide (galectina-3, HBME-1).
Presso il centro GMF Medical Center – EndocrinologiaOggi di Roma è possibile eseguire la ricerca di tali markers.
Per questo tipo di analisi, potrebbero non andare bene i vecchi vetrini ma potrebbe essere necessario ripetere un nuovo agoaspirato per prelevare nuovo materiale citologico da analizzare con l’immunoistochimica. Prenota un agoaspirato tiroideo con un endocrinologo a Roma.

GENETICA MOLECOLARE

Nell’oncologia tiroidea sono ben descritte mutazioni e riarrangiamenti genetici di BRAF, RET/PCT, PAX8/PPR-gamma, RET). Purtroppo, prese singolarmente, queste alterazioni geniche non sono sufficientemente adeguate nella diagnostica del nodulo tiroideo indeterminato (TIR3).
La mutazione più nota (BRAF) si riscontra nel 45% dei tumori papillari della tiroide e può essere analizzata presso EndocrinologiaOggi mediante un semplice agoaspirato. Tuttavia, la frequenza di riscontro di questa mutazione nei noduli indeterminati è molto bassa (meno del 20%) ed ha un’utilità solo in caso di riscontro di positività della stessa. Prenota un agoaspirato tiroideo per analisi BRAF a Roma.
Tuttavia, attualmente sono disponibili altre metodiche di genetica molecolare più complete ed avanzate. Tra queste, Afirma, prodotta da Veracyte, San Francisco (U.S.A.), rappresenta quella in grado di determinare, con più elevata affidabilità, prima dell’intervento chirurgico, se un nodulo indeterminato TIR3 è benigno. Sviluppata negli Stati Uniti si è poi diffusa in altre nazioni (Canada, Israele, Emirati Arabi Uniti, Germania). GMF Medical Center – EndocrinologiaOggi rappresenta il primo centro in Italia in cui è possibile utilizzare la diagnostica Afirma per la stratificazione dei noduli tiroidei indeterminati.
Afirma ha un valore predittivo negativo del 96%. In sostanza, se un nodulo risulta benigno con Afirma è quasi certo (probabilità > 96%) che questo lo sia realmente, e quindi non deve essere sottoposto ad intervento chirurgico ma deve essere considerato come un nodulo benigno della citologia tradizionale (TIR2).
Afirma non è un semplice test genetico ma un vero test di espressione genica in quanto valuta i profili di espressione genica di un numero elevatissimo di geni, misurandone contemporaneamente i livelli di RNA. La capacità diagnostica di Afirma, è stata negli anni ulteriormente potenziata con implementazioni tecniche che hanno dato origine a: Afirma-GSC (Gene Sequencing Classifier) e Afirma-GSC-XAtlas in cui vengono elencate tutte le alterazioni genetiche riscontrate nel campione, con specificato il rischio di malignità ad esse associate secondo quanto riportato dalla letteratura scientifica. Prenota afirma a Roma.
Afirma rappresenta indubbiamente la metodica più avanzata attualmente disponibile a livello mondiale per la diagnostica pre-operatoria dei noduli tiroidei indeterminati (TIR3).
Con la profilazione genica Afirma è in grado di stratificare biologicamente il rischio di neoplasia di un nodulo tiroideo indeterminato e di selezionare i pazienti che sono a bassissimo rischio (<4%) di avere un tumore. Si tratta, pertanto, del più importante test di esclusione (“rule-out”) attualmente disponibile. Se un nodulo risulta benigno con Afirma, si può praticamente escludere la malignità e, quindi, evitare l’intervento chirurgico.
Per eseguire Afirma è necessario ripetere un agoaspirato per prelevare il materiale da analizzare.

PACCHETTI VALUTAZIONE RISCHIO NODULO TIROIDEO INDETERMINATO (TIR3):

Il paziente con nodulo indeterminato TIR3 può richiedere di eseguire presso GMF Medical Center – EndocrinologiaOggi un “Pacchetto per la valutazione del rischio del nodulo tiroideo TIR3”.
Sono attualmente disponibili diversi tipi di pacchetti di valutazione, con costi variabili, che consentono uno spettro di valutazioni, da quella basale a quella più avanzata e completa.

Pacchetto REVISIONE

Il paziente viene sottoposto ad ecografia tiroidea con stratificazione del rischio ecografico di malignità (con categoria di rischio AACE/AME 2016) e, senza dover ripetere l’agoaspirato, reca in visione i vetrini del pregresso agoaspirato per una revisione citologica da parte di un citologo esperto e dedicato alla patologia tiroidea.
Verrà concordato un nuovo appuntamento per una visita endocrinologica dopo qualche giorno per le conclusioni finali alla luce dei dati clinici, ecografici e della revisione citologica.
Costo 270 €

Pacchetto CITOLOGIA

Il paziente viene sottoposto ad ecografia tiroidea con stratificazione del rischio ecografico di malignità (con categoria di rischio AACE/AME 2016) e ripete contestualmente un agoaspirato del nodulo, che verrà valutato da un citologo esperto e dedicato alla patologia tiroidea.
Verrà concordato un nuovo appuntamento dopo qualche giorno, per una visita endocrinologica in cui si trarranno le conclusioni finali alla luce dei dati clinici, ecografici e citologici con la definizione finale del rischio di malignità.
Costo 350 €

Pacchetto IMMUNOISTOCHIMICA

Il paziente viene sottoposto ad ecografia tiroidea con stratificazione del rischio ecografico di malignità (con categoria di rischio AACE/AME 2016) e ripete contestualmente un agoaspirato del nodulo, che verrà valutato da un citologo esperto e dedicato alla patologia tiroidea. Sul campione citologico verrà eseguita anche la valutazione immunoistochimica per galectina-3 e HBME-1.
Si concorderà un nuovo appuntamento dopo qualche giorno, per una visita endocrinologica in cui si trarranno le conclusioni finali alla luce dei dati clinici, ecografici, citologici ed immunoistochimici con la definizione finale del rischio di malignità.
Costo 420 €

Pacchetto BRAF

Il paziente viene sottoposto ad ecografia tiroidea con stratificazione del rischio ecografico di malignità (con categoria di rischio AACE/AME 2016) e ripete contestualmente un agoaspirato del nodulo. Sul campione prelevato verrà eseguita la ricerca della mutazione BRAF.
Verrà concordato un nuovo appuntamento dopo qualche giorno, per una visita endocrinologica in cui si trarranno le conclusioni finali alla luce dei dati clinici, ecografici, citologici e mutazionali del BRAF, con la definizione finale del rischio di malignità.
Costo 400 €

Pacchetto AFIRMA

Il paziente viene sottoposto ad ecografia tiroidea con stratificazione del rischio ecografico di malignità (con categoria di rischio AACE/AME 2016) e ripete contestualmente un agoaspirato del nodulo. Sul campione prelevato verrà eseguita l’analisi di profilazione genica più completa ed avanzata attualmente disponibile a livello mondiale (AFIRMA GSC-X ATLAS). Questo pacchetto comprende, ovviamente, anche l’analisi del BRAF.
Verrà concordato un nuovo appuntamento dopo circa 15 giorni, per una visita endocrinologica in cui si trarranno le conclusioni finali alla luce dei dati clinici, ecografici, citologici e di genetica molecolare avanzata (AFIRMA), con la definizione finale del rischio di malignità.
Costo 2600 €

Tutte le precedenti prestazioni e pacchetti sono eseguibili nel centro GMF Medical Center – EndocrinologiaOggi di Roma previa prenotazione, telefonica o on line.

 

Dott. Massimiliano Andrioli
Specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio

GMF Medical Center
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tel/fax 0686391386
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ACCRESCIMENTO E DISTURBI DELLA CRESCITA

L’accrescimento corporeo può avere un decorso normale o può andare in contro ad alcune problematiche. Per accresciemento corporeo si intende un processo che inizia sin dal momento del concepimento, prosegue negli anni e solitamente si conclude con la maturazione sessuale. Durante il primo anno di vita la crescita è molto rapida, con un aumento staturale di circa la metà rispetto all’altezza al momento della nascita. Durante il secondo anno, invece, la velocità di crescita rallenta (circa 1 cm/mese) per poi stabilizzarsi, dopo il secondo anno e per tutto il periodo prepuberale, ad una velocità di circa 5 cm l’anno. Nel periodo che precede immediatamente la prepubertà vi è un nuovo rallentamento ma, raggiunti i 10-14 anni, si assiste ad un netto incremento della velocità di crescita (9-10 cm/anno), determinando il massimo incremento accrescitivo puberale demoninato Growth Spurt. Questo dura all’incirca 2 anni e consente un incremento in altezza di circa 18 cm nella femmina e di fino a 20-25 cm nel maschio. Il Growth Spurt si verifica con un certo anticipo nella donna, rispetto al maschio, e ciò spiega la differenza di altezza finale tra i due sessi in quanto i maschi accelerano la loro crescita partendo da una statura di circa 10 cm superiore.
I fattori che possono influenzare la crescita corporea sono molteplici, con ruoli diversi nelle diverse fasi dello sviluppo corporeo.
Durante la vita fetale la crescita è influenzata soprattutto da fattori genetici, dal grado di nutrizione e di ossigenazione del feto; inoltre, durante lo stesso periodo sono fondamentali anche alcuni ormoni come, ad esempio, il lattogeno placentare (HPL) e l’insulina. Nel periodo postnatale, invece, hanno un ruolo fondamentale l’ormone della crescita (GH) e gli ormoni tiroidei anche se altri ormoni, come l’insulina e i glucocorticoidi possono, in qualche modo, influenzare il processo di accrescimento. Anche gli ormoni sessuali (androgeni ed estrogeni) rivestono un ruolo fondamentale in quanto sono coinvolti sia nella crescita corporea (soprattutto nel Growth Spurt) che nella maturazione ossea. Gli ormoni sessuali, però, hanno un doppio effetto sulla crescita; infatti se da un lato accelerano la maturazione muscoloscheletrica dall’altra, favorendo la saldatura delle cartilagini di accrescimento, determinano l’arresto del processo accrescitivo. (Prenota una visita auxologica).
Per cui si può passare dalla condizione di gigantismo a quella opposta, e più frequente, di bassa statura.
Nel primo caso le elevate dimensioni possono essere secondarie ad una condizione di ipernutrizione verificatasi durante la gravidanza (macrosomia) (come avviene nelle donne diabetiche), ad una condizione non patologica come l’alta statura costituzionale o ad una condizione patologica coma il gigantismo ipofisario dovuto ad un eccesso di produzione dell’ormone della crescita. (Prenota una visita auxologica).
Nel caso delle basse stature, invece, la maggior parte dei casi è rappresentata da “condizioni non patologiche” del processo di crescita ovvero dalla bassa statura familiare e dal ritardo costituzionale di crescita. Esistono, però, altre condizioni patologiche legate ad alterazioni cromosomiche (basse stature sindromiche), ad alterazioni ossee (osteocondrodistrofie) o alla presenza di malattie croniche che influenzano il processo accrescitivo (ritardo di crescita intrauterina, morbo celiaco, malattie intestinali croniche, insufficienza epatica o renale, thalassemia maior). Fanno parte delle basse stature patologiche, inoltre, anche molte patologie endocrine come l’ipotiroidismo, la sindrome di Cushing, lo pseudoipoparatiroidismo, il diabete, e la pubertà precoce. Tra le patologie endocrine va ricordato, infine, il deficit dell’ormone della crescita; in questo caso vi è una mancanza, parziale o totale, di questo ormone che fa si che non si raggiunga l’altezza bersaglio. Inoltre può succedere, anche se in casi molto più rari, che l’ormone della crescita venga si prodotto in quantità normale, ma che non riesca ad agire sui tessuti bersaglio e pertanto è come se non ci fosse (nanismo di Laron). (Prenota una visita auxologica).
In ultimo va ricordato che l’ormone della crescita è prodotto prevalentemente durante il sonno notturno e pertanto, tutte quelle condizioni che impediscono al bambino un adeguato sonno notturno, possono esitare in una bassa statura patologica (nanismo psicosociale o sindrome del bambino percosso).

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Dott. Massimiliano Andrioli
Specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio

GMF Medical Center
viale Somalia 33A, Roma
tel/fax 0686391386
cell 3337831426

CELLULE STAMINALI DERIVATE DA TESSUTO ADIPOSO NEL TRATTAMENTO DELL’ARTROSI

L’artrosi è una malattia degenerativa cronica a carattere evolutivo che colpisce la cartilagine articolare e che, con il tempo, porta progressivamente ad usura fino alla completa distruzione della cartilagine stessa. Le articolazioni più frequentemente colpite dall’artrosi sono l’anca, il ginocchio, la spalla, la colonna vertebrale e la mano. Meno frequentemente vengono colpite altre articolazioni come il gomito, il polso, la caviglia e il piede. L’artrosi causa attrito tra i capi articolari ossei e grave infiammazione dell’articolazione, con conseguente dolore, gonfiore e rumori articolari, e limitazione funzionale anche molto gravi, fino alla zoppia ed all’impossibilità di camminare senza ausili qualora l’artrosi colpisce l’arto inferiore.

Come ben noto, il problema più grande dell’artrosi è che essa è una malattia cronica progressiva che porta nel tempo ad inesorabile scomparsa della cartilagine articolare e necessità della sostituzione protesica dell’articolazione colpita. Ad oggi nessun trattamento, conservativo o chirurgico, si è dimostrato capace di cambiare il decorso naturale dell’artrosi che come detto porta al consumo progressivo della cartilagine: opzioni come il debridement artroscopico (la “pulizia artroscopica” dell’articolazione), le iniezioni di acido ialuronico con o senza cortisone, e le iniezioni di plasma ricco di piastrine (PRP) portano soltanto a miglioramenti clinici parziali e limitati nel tempo ma non hanno dimostrato nessuna capacità rigenerativa della cartilagine. In altre parole, nessuno dei suddetti trattamenti blocca l’artrosi e determina ricrescita della cartilagine consumata.

L’utilizzo delle cellule staminali derivanti dal midollo osseo nella rigenerazione dei tessuti è ben noto ormai da molti anni, e viene utilizzato quotidianamente in molte branche della medicina e della chirurgia. Ma solo negli ultimi è stato scoperto che il tessuto adiposo, soprattutto quello addominale ma non solo, è molto più ricco di cellule staminali del midollo osseo. Il prelievo delle cellule staminali dal tessuto adiposo è molto semplice, assolutamente non invasivo né doloroso, e consente di ottenere un numero elevatissimo di cellule staminali. Inoltre, a differenza del midollo osseo, la quantità di cellule staminali all’interno del tessuto adiposo non è strettamente correlato con l’età del paziente. Recentemente quindi le cellule staminali derivate dal tessuto adiposo sono state introdotte nella pratica clinica ortopedica ed utilizzate per la rigenerazione della cartilagine nei pazienti con artrosi. Inoltre, il tessuto adiposo che contiene le cellule staminali e che viene iniettato in articolazione, ha una notevole capacità lubrificante, molto maggiore di quella dell’acido ialuronico, tale da consentire un miglioramento immediato e imponente del dolore e di tutti i sintomi del paziente affetto da artrosi. (Prenota una visita ortopedica).

Già numerosi studi pubblicati recentemente su importanti riviste scientifiche Internazionali, hanno ampiamente dimostrato come il prelievo e l’impianto in articolazione delle cellule staminali derivate da tessuto adiposo autologo (cioè del paziente stesso) rappresenta un trattamento sicuro ed assolutamente privo di rischi che porta ad un notevole (e in alcuni casi definitivo) miglioramento dei sintomi dei pazienti con artrosi, non solo grazie all’effetto lubrificante del tessuto grasso, ma anche e soprattutto grazie a vari gradi di rigenerazione del tessuto cartilagineo! Ed è questo ovviamente il dato più importante di questi studi, cioè l’aver dimostrato che le cellule staminali derivate dal tessuto adiposo sono potenzialmente in grado di bloccare il processo artrosico e consentire la “ricrescita” della cartilagine. Ovviamente questi risultati possono consentire al paziente di evitare di eseguire infiltrazioni per tutta la vita ma soprattutto di evitare di essere sottoposti all’intervento di protesi!

La procedura di prelievo ed impianto delle cellule staminali derivate dal tessuto adiposo è molto semplice, può essere eseguita in anestesia locale o in leggera sedazione in qualsiasi ambulatorio chirurgico attrezzato o anche in sala operatoria, e non necessita di ricovero da parte del paziente. Può essere eseguita per qualsiasi articolazione e anche contemporaneamente per due o più articolazioni. Ovviamente, le sedi dove più comunemente viene eseguita sono il ginocchio, l’anca e la spalla, anche bilateralmente. Nel caso poi del ginocchio e della spalla, tale procedura può essere tranquillamente associata, nello stesso tempo, ad artroscopia per “pulire” l’articolazione preparandola meglio all’innesto delle cellule staminali, e per trattare eventuali lesioni meniscali e/o legamentose che quasi sempre si associano all’artrosi. Il tutto avviene sempre in giornata, senza bisogno di mandare le cellule staminali in coltura per la loro moltiplicazione, e senza bisogno di ricoverare il paziente (al massimo è necessario un Day-Hospital nel caso in cui si decida di associare anche la pulizia artroscopica che io consiglio sempre in tutti i miei pazienti, soprattutto nel caso del ginocchio e della spalla e soprattutto quando il trattamento coinvolge due o più articolazioni).

Come detto, la procedura è molto semplice e sicura ed avviene in anestesia locale o in leggera sedazione. Ovviamente, sia la zona del prelievo di grasso che quella/e del successivo impianto vengono accuratamente sterilizzate. Attraverso un’incisione puntiforme di non più di 3 millimetri (tale da non necessitare alla fine nemmeno di punti di sutura), si esegue l’infiltrazione nel tessuto adiposo (quasi sempre addominale) di una soluzione di semplice fisiologica e anestetico tale da preparare la zona per il successivo prelievo di grasso (Fig. 1). Dopo 5 minuti attraverso la stessa incisione puntiforme, si procede al prelievo del tessuto adiposo attraverso semplice e rapida (pochi minuti) liposuzione (Fig. 2). Vengono generalmente prelevati circa 40-60ml di grasso, ma d’accordo con il paziente se ne possono prelevare anche di più soprattutto quando la procedura è bilaterale o coinvolge più articolazioni. Il tessuto adiposo prelevato viene micro-frammentato in pochi minuti (per separarlo da eventuali gocce di sangue e/o anestetico precedentemente iniettato) con un apposito strumento (Fig. 3),  e viene così iniettato nell’articolazione o nelle articolazioni colpite dall’artrosi (Fig. 4). Il tutto avviene come detto in non più di 15 minuti, salvo nei pazienti sottoposti anche ad artroscopia in cui ovviamente l’intera procedura dura qualche minuto di più.

Il paziente a questo punto viene medicato, come detto senza necessità di punti di sutura, e dimesso in giornata. Dopo una settimana si eseguono il controllo clinico e la medicazione in ambulatorio. Durante questa settimana il paziente può deambulare tranquillamente senza stampelle o tutori, e può tranquillamente guidare, anche nel caso venga effettuata l’artroscopia. Generalmente, non è necessaria fisioterapia dopo questa procedura, ed il paziente può tornare rapidamente alle sue attività sportive e lavorative dopo pochi giorni dal trattamento. (Prenota una visita ortopedica).

 

Dott. Michele Vasso

Specialista in Ortopedia

GMF Medical Center, Viale Somalia 33A, 00199 Roma

Per ulteriori info o prenotazioni: 0686391386 o 3337831426

TRATTAMENTO PRE-PROTESI DELL’ARTROSI: ACIDO IALURONICO, PRP O CELLULE STAMINALI?

Qual è il migliore trattamento per l’artrosi prima dell’impianto di una protesi: Acido Ialuronico, PRP o Cellule Staminali ?

Introduzione

L’artrosi è una malattia degenerativa cronica a carattere evolutivo che origina inizialmente dalla cartilagine articolare ma che, con il tempo, finisce con il coinvolgere anche gli altri componenti dell’articolazione come osso e legamenti. In questa patologia, la cartilagine articolare va incontro progressivamente ad usura fino alla completa distruzione e scomparsa: in assenza di cartilagine, i capi articolari ossei finiscono per creare attrito tra di loro con conseguente dolore, gonfiore e limitazione funzionale anche molto gravi. Le articolazioni più frequentemente colpite dall’artrosi sono l’anca, il ginocchio, la spalla, la colonna vertebrale e la mano. Meno frequentemente vengono coinvolte altre articolazioni come il gomito, il polso, la caviglia e il piede. Essendo l’artrosi una patologia da consumo della cartilagine, colpisce ovviamente i soggetti più avanti con l’età (60-80 anni), ma non sono rari i casi in cui l’artrosi colpisce anche soggetti più giovani (40-60 anni).
Indipendentemente dalla regione colpita, l’artrosi può essere primitiva, senza cioè nessuna causa apparente (90% dei casi), o secondaria a diversi processi patologici come deformità articolari congenite o acquisite, traumi, malattie sistemiche croniche, infezioni, obesità (10% dei casi). In particolare l’obesità, nell’artrosi dell’arto inferiore (anca, ginocchio, caviglia, piede) sovraccarica la cartilagine articolare e ne causa il graduale consumo fino, come detto, alla completa distruzione. L’artrosi non è una malattia genetica, pur presentando comunque una certa familiarità in quanto tende a colpire più soggetti insieme all’interno di una stessa famiglia (potremmo definirla una malattia non genetica ma familiare).
I sintomi caratteristici dell’artrosi dipendono ovviamente dalla localizzazione dell’artrosi stessa ma quelli comuni a tutte le forme di artrosi sono il dolore, l’arrossamento, il gonfiore con versamento articolare, la limitazione funzionale e, nelle forme più gravi, la deformità articolare (artrosi deformante). Nell’artrosi poi dell’arto inferiore (anca e ginocchio soprattutto) avremo la zoppia, la difficoltà nel salire e scendere le scale, la assoluta necessità di ausili tipo bastone o stampelle, fino alla completa impossibilità a camminare. La diagnosi di artrosi è molto semplice e si basa su un’approfondita storia clinica, su una visita ortopedica accurata, e su un semplice esame radiografico (sotto-carico nel caso di sospetta artrosi dell’arto inferiore). In alcuni casi, sono necessari ulteriori esami diagnostici quali risonanza magnetica e/o Tac. Prenota una visita ortopedica.
Il trattamento dell’artrosi si avvale modernamente di numerose tecniche chirurgiche e non chirurgiche. Ovviamente il tipo di trattamento deve essere individualizzato per ogni paziente e dipende sia dal paziente stesso che dalla gravità del processo artrosico. A parte l’utilizzo di farmaci antinfiammatori e fisiochinesiterapia che hanno solamente lo scopo di ridurre il dolore e il gonfiore a carico dell’articolazione colpita, come dicevamo esistono modernamente numerose opzioni terapeutiche per il trattamento dell’artrosi, che vanno dalle infiltrazioni articolari (prenota un’infiltrazione) fino alla sostituzione protesica dell’articolazione colpita. Ribadiamo il concetto che l’utilizzo o di una opzione terapeutica anziché di un’altra dipende fondamentalmente dal tipo di paziente e dalla gravità dell’artrosi. Qui descriveremo quelle che sono le opzioni più moderne di trattamento non-sostitutivo dell’artrosi, quelle tecniche cioè che si possono e si devono utilizzare prima di un intervento maggiore di sostituzione dell’articolazione colpita con una protesi.

Infiltrazioni articolari di Acido Ialuronico

L’acido ialuronico è il componente principale della cartilagine articolare, pertanto è una sostanza che già si trova all’interno dell’articolazione artrosica seppur in misura ridotta per via del processo patologico. Quindi le infiltrazioni articolari di acido ialuronico sono assolutamente sicure e scevre da rischi. L’acido ialuronico presenta una particolare consistenza viscosa che lo rende un’ottima sostanza lubrificante dell’articolazione. Presenta inoltre una seppur minima capacità di nutrimento della cartilagine ancora sana, e una modesta capacità antinfiammatoria. Quest’ultima capacità antinfiammatoria può essere amplificata dall’utilizzo contemporaneo di cortisone che infatti viene spesso associato alle infiltrazioni di acido ialuronico. Ovviamente l’acido ialuronico non ha nessuna capacità rigenerativa della cartilagine articolare avendo un’azione prevalentemente meccanica di lubrificazione della cartilagine. In ogni caso, riduce significativamente l’evoluzione dell’artrosi che come detto è una patologia degenerativa cronica.
Esistono in commercio numerose formulazioni di acido ialuronico, che si distinguono tra di loro soprattutto per il peso molecolare dell’acido ialuronico stesso. Ovviamente un acido ialuronico a più alto peso molecolare tende a rimanere all’interno dell’articolazione per più tempo prima di essere espulso, fino anche a sei mesi. Proprio per questo motivo, è necessario che le infiltrazioni di acido ialuronico vengano continuamente ripetute nel tempo (almeno un ciclo all’anno). Il trattamento infiltrativo con acido ialuronico è riservato ai casi meno gravi di artrosi, quindi nei primi stadi della malattia quando la cartilagine articolare non è ancora in grave condizioni di usura (condropatia). È inoltre indicato nei soggetti molto giovani e attivi per rimandare un eventuale trattamento chirurgico di sostituzione protesica, o nei soggetti molto anziani che non vogliono e/o non possono sottoporsi all’intervento di protesi.

Infiltrazioni di Fattori di Crescita derivanti dalle Piastrine (PRP)

Le infiltrazioni di plasma ricco di fattori di crescita derivanti dalle piastrine (dall’acronimo inglese PRP: “platelet rich plasma”) sono state solo recentemente introdotte nella pratica clinica per il trattamento delle patologie della cartilagine articolare e dell’artrosi (seppur si usassero già da diversi anni anche in altri campi dell’ortopedia e della chirurgia in generale). Poste le dovute precauzioni, è un trattamento assolutamente semplice e sicuro, che può essere effettuato anche in regime ambulatoriale.
Viene eseguito un semplice prelievo di sangue venoso al paziente. Questo sangue viene poi centrifugato (con un apparecchio apposito ed in pochi minuti) per la separazione del plasma ricco di piastrine dalle altre componenti del sangue. Il plasma così ottenuto, di colore tipicamente giallognolo e, come detto, molto ricco di piastrine, viene quindi infiltrato nell’articolazione colpita dall’artrosi. Le piastrine sono notoriamente ricche di fattori di crescita, e questi fattori di crescita hanno il compito di stimolare le cellule cartilaginee a rigenerarsi. Inoltre, questo plasma ha una potente attività antinfiammatoria che determina un effetto benefico immediato in termini di riduzione del dolore e del gonfiore. Generalmente, sono necessari almeno tre trattamenti con PRP nella stessa articolazione.
Gli effetti ottenuti dalle infiltrazioni articolari di PRP in termini di rigenerazione della cartilagine sono stati lungamente studiati ed analizzati. La maggior parte degli studiosi sono d’accordo nell’affermare che il PRP non ha mostrato una potente attività rigenerativa della cartilagine, sebbene, come nel caso dell’acido ialuronico, possieda la capacità di rallentare il processo artrosico. Avendo comunque anche una potente azione antinfiammatoria e quindi antidolorifica, l’utilizzo del PRP viene modernamente riservato al trattamento degli stadi di artrosi e di usura della cartilagine articolare in cui l’acido ialuronico non ha ottenuto buoni risultati, e nei pazienti in cui l’utilizzo di un intervento di protesi non è ancora necessario e/o non è attuabile (vedi soggetti molto anziani con problemi di salute generale).

Innesto di Cellule Staminali Lipo-derivate

L’innesto articolare delle cellule staminali autologhe prelevate dal tessuto adiposo (generalmente dell’addome) del paziente stesso è sicuramente il trattamento più moderno e promettente delle patologie della cartilagine articolare e dell’artrosi, soprattutto nei pazienti in cui l’acido ialuronico e/o l’utilizzo del PRP sono risultati inefficaci. Le cellule staminali sono definite cellule pluri-potenti in quanto posso differenziarsi in diversi tipi di cellule relativamente al sito in cui vengono innestate. Qualora impiantate in articolazione, possono trasformarsi in cellule cartilaginee e quindi favorire la rigenerazione della cartilagine stessa. Recentemente è stato scoperto che il tessuto adiposo è molto più ricco di cellule staminali del midollo osseo. Inoltre il prelievo delle cellule staminali dal tessuto adiposo è molto semplice, assolutamente non invasivo e consente di ottenere un numero elevatissimo di cellule staminali che possono essere utilizzate per la rigenerazione cartilaginea. Infine, il tessuto adiposo che contiene le cellule staminali e che viene iniettato in articolazione, ha una notevole capacità lubrificante, molto maggiore di quella dell’acido ialuronico, tale da consentire un miglioramento immediato e imponente del dolore e della limitazione funzionale.
Questo trattamento di prelievo e innesto di cellule staminali lipo-derivate può essere eseguito in qualsiasi ambulatorio chirurgico in anestesia locale. Attraverso un’incisione puntiforme di non più di 3 millimetri e mediante liposuzione, si preleva, generalmente dall’addome, il tessuto adiposo che viene micro-frammentato (per separarlo da eventuali gocce di sangue e/o anestetico precedentemente iniettato) e successivamente iniettato nell’articolazione. Nella maggior parte dei pazienti comunque noi preferiamo associare anche un’artroscopia dell’articolazione colpita (molto spesso il ginocchio) grazie alla quale si trattano eventuali lesioni meniscali che frequentemente accompagnano un quadro artrosico, e si esegue una “pulizia” della cartilagine in modo da preparare anche meglio l’articolazione all’innesto delle cellule staminali. In questo caso il trattamento viene eseguito in regime di Day Hospital in anestesia loco-regionale. L’intera procedura (artroscopia, prelievo e innesto di cellule staminali) dura circa mezz’ora, con il paziente che torna a casa tranquillamente la sera dell’intervento stesso senza ausili e senza alcuna limitazione particolare. Come detto, il tessuto adiposo iniettato in articolazione presenta una enorme capacità lubrificante dell’articolazione tale da concedere un immediato effetto benefico di tipo meccanico, con risoluzione immediata del dolore e recupero del movimento articolare. Presenta inoltre un’alta concentrazione di cellule staminali che hanno lo scopo di “trasformarsi” in cellule cartilaginee per la rigenerazione appunto della cartilagine articolare. Quindi, non fattori di crescita del PRP che dovrebbero “risvegliare” le cellule cartilaginee danneggiate dall’artrosi, ma nuove cellule sane che sostituiscono, nel giro di qualche settimana/mese quelle malate.
Il trattamento viene utilizzato in Italia solo dal 2016 ma già sono stati pubblicati i primi risultati clinici e soprattutto istologici che confermano la reale capacità rigenerativa di questo vero e proprio trapianto di cellule staminali. Il trattamento con artroscopia e innesto di cellule staminali prelevate dal tessuto adiposo è indicato in tutti i casi di artrosi di grado intermedio in cui ovviamente sia l’acido ialuronico ed il PRP sono risultati inefficaci. È un trattamento che viene poi indicato anche in presenza contemporanea, in soggetti giovani/adulti, di affezioni meniscali che possono essere brillantemente risolte con l’utilizzo dell’artroscopia. Può comunque essere tranquillamente utilizzato in tutti gli stadi dell’artrosi ed in tutti i pazienti prima dell’intervento di sostituzione protesica.

Prenota on line una visita ortopedica sull’argomento.

Dott. Michele Vasso

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TIROIDITE CRONICA DI HASHIMOTO

La tiroidite cronica di Hashimoto è un processo infiammatorio autoimmune della tiroide.
Si tratta di una particolare forma di tiroidite caratterizzata da una cronica infiltrazione di linfociti. Tale patologia, frequentemente silente, porta spesso ad una graduale ma progressiva e irreversibile ipofunzione della tiroide (ipotiroidismo). Quando la produzione di ormone tiroideo  diventa insufficiente si instaura un quadro di ipotiroidismo.
La tiroidite cronica è la più frequente delle patologie tiroidee ed è la causa più frequente di ipotiroidismo nelle aree del mondo con un sufficiente apporto di iodio, mentre nelle aree a carenza iodica la tiroidite cronica è ancora oggi una malattia relativamente rara.
Spesso i pazienti sono asintomatici, se si esclude, talvolta, la presenza di un lieve gozzo. Nel paziente da lungo tempo affetto da tiroidite cronica, invece, i disturbi clinici avvertiti sono quelli tipici dell’ ipotiroidismo. Rara, anche se possibile, e la comparsa di clinica da ipertiroidismo dovuta al rilascio di ormoni tiroidei da parte della tiroide distrutta (Hashitossicosi).
Occasionalmente può essere presente un’oftalmopatia simile a quella che si può riscontrare nel morbo di Basedow.
La diagnosi si basa su dati di laboratorio che evidenziano la presenza di elevati valori di anticorpi anti-tiroide associati ad una funzionalità tiroidea che può essere variabile in base allo stadio della malattia. Prenota un’ecografia tiroidea.
In molti casi non è richiesto nessun trattamento perchè il gozzo è piccolo e il paziente è spesso asintomatico, con livelli di TSH nella norma.
Il trattamento sostitutivo con LT4 è invece obbligatorio quando: a) viene riscontrato ipotiroidismo franco; b) in caso di ipotiroidismo subclinico con TSH > 10 U/l ; c) nelle donne che stanno per iniziare un gravidanza o nei bambini. Prenota una visita endocrinologica.

Per ulteriori informazioni e approfondimenti:

https://www.endocrinologiaoggi.it/2011/06/tiroidite-autoimmune-di-hashimoto/

 

Dott. Massimiliano Andrioli

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